È stata la prima dottoressa a capire che il Covid non aveva bisogno di un volo diretto dalla Cina per sbarcare in Italia. Anche Annalisa Malara, l’anestesista di Codogno che scoprì il Paziente 1, è scesa in campo ieri tra i letti della Fiera, dove da 20 giorni si combatte una battaglia collettiva. Per curare i malati più gravi di questa seconda ondata. Il suono delle ambulanze è il peggiore dei sottofondi possibili. Dentro, tra i padiglioni di una fiera che negli anni è stata tantissime cose e niente, ci sono 57 pazienti intubati. E fa effetto pensare che non ci sono solo anziani condannati dal loro curriculum sanitario e dalla carta d’identità. Ma anche giovani. L’età media è 64 anni. Più uomini che donne.
Molti hanno patologie pregresse. Un terzo sono stranieri. «Quando mettemmo piede qui dentro il 6 aprile erano passati tre giorni dal picco. Iniziava la discesa e ci rimproverarono che non si riempisse. Ma è grazie a questo posto che non avremo più bisogno di mandare i nostri malati a curarsi in Germania», racconta il direttore del padiglione Nino Stocchetti. Da quando quasi un mese fa si è accesa su Milano la miccia della seconda ondata, si sono spese tante metafore per descrivere questa cattedrale purtroppo non più nel deserto. Diga, scialuppa, estintore. In primavera quando il Covid aveva trovato terreno fertile praticamente solo in Lombardia, a dare una mano venivano da tutta Italia. Ora è più difficile trovare territori che possono abbondare di medici. La coperta resta corta. La tiri di qua e resti corto di là.
Però dalle province lombarde stanno arrivando. Policlinico, Niguarda, San Gerardo di Monza, Spedali Civili di Brescia e Circolo di Varese stanno gestendo i letti già avviati. Dai 60 posti si arriverà a 88 settimana prossima, con due nuovi moduli gestiti da privati, Gruppo San Donato e Humanitas. «Pensavamo di essere stanchi, di sentire la ruggine del passato, ma quando c’è da fare qui si fa: nessun medico o infermiere è stato deportato come sento dire. La lista di chi verrebbe a dare una mano è lunga», aggiunge Stocchetti. La Fiera è stata concepita per avere 221 posti di rianimazione: 157 sarebbero pronti. Ma un conto è avere letti, un altro poterli usare. E qui il tema torna ai numeri del personale. Per ora sono operativi 60 medici e 130 infermieri.
Una battaglia quotidiana contro il tempo, nonostante i decorsi nelle intensive siano lunghi, ben che vada una ventina di giorni. Solo ieri è stato trasferito in Pneumologia il primo paziente entrato qui il 23 ottobre. Quattro tra le persone intubate invece non ce l’hanno fatta. I medici del Policlinico avevano iniziato a confrontare i numeri del passato. Una persona su 4 non sopravvive alle rianimazioni. Ma ora non c’è tempo per fare statistica. Perché nel frattempo il numero dei decessi cresce, a Milano, come in tutto il Paese. Ieri in Lombardia sono stati 187. Il dato dei morti è l’ultimo a crescere, come anche l’ultimo a scendere, perché racconta storie cliniche lunghe.
Con i tanti casi e i molti ricoveri delle ultime settimane inevitabile che il numero continuerà a salire. «Lavoriamo anche sulla prospettiva, nel breve abbiamo fretta di aprire altri moduli con aiuto di nuovi ospedali — continua Nicola Bottino, il responsabile del Policlinico in Fiera, mettendo la testa fuori per un attimo dalla zona “sporca” dell’ospedale —. Molte delle persone che intubiamo arrivano da giorni passati al pronto soccorso con sostegno respiratorio. Provengono da tutta la Regione, anche se ora cerchiamo di minimizzare gli spostamenti. Ma questo non conta niente, i malati per noi non hanno distinzioni geografiche».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
social experiment by Livio Acerbo #greengroundit #corriereit https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/20_novembre_13/02-milano-g1corriere-web-milano-5d989f88-2575-11eb-9464-032251e7abf1.shtml