Il volo del drone “Leo” ispirato a Leonardo Da Vinci introduce le telecamere nel PalaOlimpico. Parte un omaggio ideale a Luciano Pavarotti sulle note di Vincerò, una chitarra rock ricorda Zitti e buoni dei Måneskin, ultimi vincitori a Rotterdam. Prima serata dell’Eurovision Song Contest, entrano i tre conduttori Laura Pausini, Mika e Alessandro Cattelan: “Ciao Italia” grida la Pausini, “Ciao Torino” le fa eco Cattelan. I tre si abbracciano, intrecciano le mani come fossero le spade dei tre moschettieri. I tempi stringono, annunciano il primo dei 17 concorrenti. Passeranno in finale in dieci. Un dubbio si insinua mentre seguiamo la prima semifinale: e cioè che dopo aver spianato la strada agli stessi stili di vita nel pianeta, l’omologazione culturale stia abbattendo i confini tra gli stili musicali. La suggestione è forte mentre scorre proprio in apertura dell’Eurovision la performance volitiva di Ronela Hajati che canta Sekret e ci si domanda se la cantante albanese voglia in fondo assomigliare di più a Cardi B o a Beyoncé. Si ascolta la 22enne Rosa Linn mentre canta in inglese Snap, modulando la voce, ci si chiede se abbia scritto quel brano nella sua casa di Vanazdor in Armenia o nello studio di una major a New York.
Stessa sensazione di già sentito durante l’esibizione dell’austriaco Marius Bear, che è bravissimo e non si discute, il pezzo ha anche una sua calda suggestione, eppure non eccelle certo in originalità e Marius risulta uguale ai tanti crooner che soprattutto il mercato anglosassone ha prodotto in questi anni. Lo stesso discorso si può applicare alla maltese Emma Muscat che si esibisce cantando I am what I am, come alla greca Amanda Georgiadi Tenfjord per Die Together o anche a Mia Dimsic per la ballata intitolata Guilty Pleasure. Tutte cantanti bravissime che hanno però perso di vista o non hanno mai preso in considerazione le radici della tradizione musicale del loro Paese di origine per abbracciare il linguaggio anglosassone. Fortunatamente la serata dimostrerà che non sempre è così.
Da quando venne ideato nel 1956 a imitazione del Festival di Sanremo, l’Eurovision ha sempre rappresentato il sogno di unire il continente celebrandone le diversità attraverso la musica. Ogni artista avrebbe portato su quel palco la cultura del proprio Paese tenendo sempre presente come valore centrale l’inclusività. Una gara ma soprattutto la fotografia della ricchezza culturale dell’Europa. Negli anni questo obiettivo si è sempre più sfumato e oggi le proposte in cui si possano riconoscere elementi specifici delle singole culture diminuiscono.
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Questi i dieci artisti che sabato prossimo, 14 maggio, parteciperanno alla finale: Marius Bear per la Svizzera, Rosa Linn per l’Armenia, Systur per l’Islanda, Monika Liu per la Lituania, Maro per il Portogallo, i Subwoolfer per la Norvegia, Amanda Georgiadi Tenfjord per la Grecia, la Kalush Orchestra per l’Ucraina, Zdob si Zdub & Advahov brothers per la Moldavia, S10 per l’Olanda.
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