“Quel giorno i sanitari hanno provveduto a suturare la ferita di Paolo, ma non è stato possibile effettuare il tampone per le difficoltà che hanno incontrato nel sedarlo”, ha raccontato la madre dell’uomo a Ledha, l’associazione che lavora per la tutela dei diritti delle persone con disabilità e che rappresenta oltre 180 organizzazioni di persone con disabilità e loro familiari in tutta la Lombardia. Come spiega l’associazione, va a vuoto – appunto per il rischio che Paolo sia positivo al Covid – anche il tentativo di farlo ammettere al ‘Dama’ dell’ospedale San Paolo di Milano, il centro specializzato nella presa in carico delle persone con grave disabilità intellettiva e neuromotoria. Il 14 gennaio, la famiglia prova nuovamente a fare fare il tampone all’uomo, che aveva preso dei calmanti, ma anche questo tentativo si rivela un insuccesso. Quattro giorni dopo, al pronto soccorso di Crema, l’uomo riesce finalmente a effettuare il test, ma solo dopo una sedazione in vena. Ulteriore stress.
Paolo però risulta ancora positivo, e di conseguenza a oggi è di nuovo in isolamento, in attesa di un test – questa volta salivare – che verrà effettuato il 24 gennaio. Già lo scorso 17 dicembre, infatti, la dg Welfare di Regione Lombardia aveva dato indicazione alle Ats di garantire l’uso dei tamponi salivari “in individui (sintomatici o asintomatici) fragili con scarsa capacità di collaborazione”. Ma le informazioni non erano arrivate in maniera adeguata alla famiglia di Paolo, che ha quindi dovuto affrontare una vera e propria odissea. “Paolo ha vissuto una situazione di stress, sofferenza e discriminazione. Una situazione causata da una serie di fattori tra cui la mancanza di informazioni”, commenta Enrico Mantegazza, presidente di Ledha Milano che ha assistito la famiglia.
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