Circa duecento rider sono scesi in piazza XXIV Maggio per protestare ancora una volta contro le condizioni di lavoro del settore; hanno lanciato un appello a tutti i «loro» clienti sulle piattaforme («Non ordinate oggi a pranzo nulla, né cibo né bevande»), e anche ai loro colleghi («Non connettetevi e lasciate le biciclette in garage»). La protesta nazionale della rete Rider per i diritti si è svolta in trenta città e a Milano è stata tra le più partecipate, incrociandosi con lo sciopero di altri comparti, dalla scuola ai trasporti.
Il protocollo sperimentale siglato dall’associazione delle piattaforme digitali Assodelivery e il sindacato Ugl suona ai rider «come una presa in giro ben lontano dal vero contratto collettivo nazionale che chiediamo». «Lavoratori italiani e stranieri sono finalmente uniti dalla consapevolezza dei loro diritti», tuona tra gli altri la sigla Deliverance. «Basta lavoro a cottimo, ho i muscoli delle gambe che mi fanno male e non posso fermarmi per malattia perché ho l’affitto da pagare. Sono un lavoratore dipendente a tutti gli effetti e non capisco perché non vengo tutelato come tale», dice dalla piazza Giuseppe Di Maggio, 43 anni, registrato su varie piattaforme. «A volte ci mettiamo d’accordo, preleviamo il pranzo dai ristoranti e non lo consegniamo per creare disturbo, e ci riusciamo perché l’economia ormai ruota anche intorno al nostro lavoro», spiega un altro ciclo fattorino, lui di Deliveroo, che prega di non essere citato per paura di ritorsioni.
Lo sciopero dei rider è diventato l’occasione per la convergenza delle lotte dei lavoratori dello spettacolo, della logistica e a livello territoriale anche della scuola che manifesta per la riapertura degli istituti, insieme ai Cobas che scioperano nel trasporto pubblico locale. «Non per noi ma per tutti», è lo slogan che ammicca all’unitarietà della protesta. Le richieste della Procura di Milano, una multa da 733 milioni di euro e l’assunzione di 60 mila rider, sono un macigno. Dal loro canto le società di Assodelivery (Glovo, Deliveroo, UberEats), a differenza di Just Eat che conferma l’intenzione di assumere i fattorini, hanno siglato con Cgil, Cisl, Uil e Ugl quella sorta di protocollo d’intesa per la legalità contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo nel settore del food delivery che ai rider ovviamente non basta.
Qualcuno è sfiduciato come Luca Corbetta, zaino di Deliveroo e Uber Eats, ex modello di Armani, una moglie impiegata e due bambini piccoli a casa, quattro lingue parlate oltre all’italiano: «Non sono in piazza e neanche al lavoro, sono a casa a tenere i miei due figli altrimenti, senza scuola, dove stanno? — chiede esasperato —. Funzionano altri tipi di proteste, bisogna spiazzare l’algoritmo dandoci presenti e sparendo invece un attimo dopo o occorreva manifestare al massimo nei momenti di lockdown totale. Oggi invece lo sciopero era stato annunciato, le piattaforme guadagneranno comunque con i pasti del week end, è una protesta che purtroppo rischia di avere poco effetto. Qualcuno si prenda a cuore la nostra causa».
Intanto salgono a 44 i rider ammessi come parti civili nell’udienza davanti al Gup Teresa De Pascale che vede tra gli imputati per caporalato la manager (sospesa) di Uber, Gloria Bresciani, a seguito dell’inchiesta milanese del pm Paolo Storari che lo scorso maggio ha portato al commissariamento della piattaforma di delivery, poi revocato dalla Sezione misure di prevenzione. Oggi altri 23 rider, oltre ai 21 della scorsa udienza, sono entrati come parti civili, e tra queste sono state ammesse anche la Cgil e la Camera del lavoro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
social experiment by Livio Acerbo #greengroundit #corriereit https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/21_marzo_26/rider-piazza-stop-consegne-protesta-le-condizioni-lavoro-non-ordinate-nulla-pranzo-76c48f10-8e2c-11eb-8542-ee1d410d331e.shtml