I due killer sparano davanti alla scuola senza lasciargli il tempo di estrarre la pistola che ha sotto la giacca. Le pallottole lo inseguono lungo il vialetto, lui cerca rifugio verso il portone. I proiettili bucano il lunotto delle macchine parcheggiate e uno finisce nel cortile dell’asilo. A pochi metri dall’ingresso. Cristoforo Verderame, 32 anni, viene trafitto da quattro colpi calibro 7.65 e 38. L’ultimo, letale, è alla nuca.Era l’ora di pausa e quel giorno i bambini dovevano essere in giardino a giocare. La strage è stata evitata dalla casualità della decisione delle maestre che avevano preferito lasciare i ragazzi nell’atrio. Loro, almeno una ventina, hanno sentito i colpi e hanno guardato oltre le vetrate, testimoni oculari dell’esecuzione. Erano le 12.45 di lunedì 3 ottobre 1988, a San Giuliano Milanese. Per tutta la vita quei bambini si sono portati dentro l’immagine del sangue e l’odore di polvere da sparo. L’odore di quella mattina di scuola. Non sapevano che sotto ai loro sguardi si stava combattendo una guerra. Una faida di mafia a mille chilometri dalla Sicilia.
L’articolo del Corriere del 4 ottobre 1988
Per 31 anni l’omicidio di Cristoforo Verderame è rimasto senza colpevoli. Una storia chiara nella memoria di magistrati e investigatori, ma che mai, nonostante più tentativi, è arrivata vicina a una soluzione. Un «cold case» che la Direzione distrettuale antimafia di Milano ha riaperto negli ultimi mesi, grazie anche alle dichiarazioni di un nuovo collaboratore di giustizia, Emanuele Tuccio, mafioso di Gela (Caltanissetta). Tra un mese, giovedì 14 novembre, ci sarà l’udienza davanti al gip Manuela Cannavale per il boss gelese Antonio Rinzivillo, oggi detenuto al 41 bis, e per il collaboratore di giustizia Antonino Pitrolo, entrambi di 62 anni. Sono loro, secondo le indagini del pm della Dda Stefano Ammendola, mandante e killer dell’omicidio.
Pitrolo avrebbe ricevuto da Rinzivillo non solo l’ordine di uccidere, ma anche la pistola usata per l’agguato. Ma perché è stato ucciso Verderame? Un primo tentativo di spiegazione di quel delitto ha cercato di darlo il pm Marcello Musso — scomparso ad agosto in un incidente stradale — in un’inchiesta su sei omicidi ordinati dalla Cupola di Cosa nostra a Milano negli anni 80 e 90. Per quel delitto le indagini del 2006, partite grazie alle dichiarazioni del «boia di Capaci» Giovanni Brusca, avevano individuato come responsabili Alessandro Barberi, Giovanni Pietro Flamia «u Cardiddu» e Giuseppe «Piddu» Madonia, capo della Commissione provinciale di Cosa nostra a Caltanissetta. Il delitto era legato alla guerra che la mafia di Totò Riina, Binnu Provenzano e Madonia aveva scatenato contro i «ribelli» della Stidda, il clan di Gela nato da una costola di «cacciati» da Cosa nostra.
Un omicidio inserito in una catena di agguati come quello di Carmelo Scerra, anche lui freddato a Milano. Era stato crivellato di colpi la sera del 26 maggio ‘89 davanti a un bar di piazzale Cuoco. Secondo i magistrati il 34enne effettuava trasporti di droga e armi da Milano verso Gela per conto della Stidda. La ricostruzione però non aveva convinto i giudici. Gli imputati erano stati assolti per questi delitti, ma condannati per le uccisioni di Gaetano Carollo e Alfio Trovato. Ergastolo per Riina e Madonia, 30 anni per Cataldo Terminio, Antonio Rinzivillo e Grazio Salvatore Gerbino.
L’inchiesta è stata ora riaperta grazie alle parole di un altro collaboratore, Emanuele Tuccio di Niscemi. Secondo la nuova ricostruzione Rinzivillo, difeso dall’avvocato Flavio Sinatra, al momento del delitto era il reggente della «famiglia mafiosa di Gela», perché il capoclan Salvatore Polara (ucciso due mesi dopo a Gela con la moglie e i due figli) si trovava agli arresti. Per i pm, quindi, sarebbe stato Rinzivillo a dare il via libera alla sentenza di morte e a ordinare a Pitrolo, assistito dai legali Maria Assunta Biondi ed Eliana Zecca, di uccidere Verderame. Con lui un secondo sicario, ancora ignoto.
I killer erano arrivati in via Sesto Gallo, davanti alla scuola materna e media «Enrico Fermi», su una Fiat Uno metallizzata. Verderame, originario di Gela, pregiudicato per droga e prostituzione, era uno «stiddaro» e per questo doveva morire.
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