
“La demolizione non è l’unica opzione per il Meazza: valutate ipotesi alternative come l’adeguamento e la trasformazione dell’impianto”. Era l’ultima voce che, nella tormentata partita dello stadio, mancava ancora all’appello. Ma adesso anche la Sovrintendenza ha preso una posizione. E il parere che è stato inviato a Palazzo Marino rischia di pesare, eccome, sul futuro di San Siro. Perché l’invito a prendere in considerazione quella riqualificazione che lo stesso sindaco Beppe Sala, che ha incontrato i vertici dei club interessati a capire soprattutto i tempi della decisione finale, in fondo, ha sempre indicato come la strada maestra per far tornare a brillare la casa rossonearruzza, questa volta non arriva né dalla politica né dal cuore di qualche tifoso. Ma dalla responsabile dei Beni culturali, Antonella Ranaldi.
Demolire San Siro non sarebbe come cancellare con un colpo di ruspa un qualsiasi altro edificio della città gravato dall’usura del tempo. Questione di simboli e di legami identitari. “Un significato e un sentimento calcistico che porta a far percepire lo stadio come un’icona dello sport”, lo definisce. E non solo. Perché, certo, “le trasformazioni sono state talmente tante che la connotazione dello stadio è diventata quella degli anni Novanta”, spiega la sovrintendente. Eppure. “Oltre alle quattro torri e al terzo anello” arrivato per i Mondiali ’90, “alla struttura originaria se ne è aggiunta un’altra degli anni Cinquanta che considero significativa dal punto di vista architettonico”. Ed è proprio il valore “artistico” del secondo anello che potrebbe fare la differenza, ancor più del primo originario del 1926. Qualcosa di simile, magari, a quello che si chiama vincolo storico-relazionale e che in alcuni casi viene messo per proteggere beni che oltre al significato culturale portano con sé un legame con l’identità e la memoria di una comunità.
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