
Resta in carcere con l’accusa di tentato omicidio aggravato dalla finalità terroristica e dalla violenza a pubblico ufficiale, Mahamad Fathe, il 23enne yemenita che martedì ha ferito con delle forbici un militare alla stazione Centrale di Milano. Lo ha deciso la giudice per le indagini preliminari Natalia Imarisio convalidando l’arresto e disponendo la misura cautelare, come chiesto dal capo dell’antiterrorismo, il pm Alberto Nobili. Per la gip, c’è il pericolo che possa commettere ancora azione violente, possa fuggire e inquinare le prove.
Ha retto, dunque, l’accusa contestata dalla Procura con l’aggravante del terrorismo, formulata perché il 23enne, quando è stato bloccato, ha gridato “Allah akbar” e perché lui stesso nell’interrogatorio davanti al pm ha raccontato che voleva rimanere ucciso da martire per raggiungere il “paradiso di Allah”. Avrebbe agito, inoltre, con le “modalità aggressive” tipiche del terrorismo.Il giudice nel confermare il carcere ha evidenziato tutte e tre le esigenze cautelari: il pericolo di reiterazione del reato, quelli di fuga e inquinamento probatorio. Oggi, tra l’altro, lo yemenita si è rifiutato di presentarsi davanti al gip per l’interrogatorio, rimanendo in cella a San Vittore e senza nemmeno spiegare il motivo del suo rifiuto al “faccia a faccia” col giudice, anche solo per avvalersi della facoltà di non rispondere.
Mahamad Fathe, secondo quanto riferisce la sua legale, Paola Patruno, “si è reso conto di quello che stava facendo e si è fermato” e, notando una militare donna lì vicino, “le ha chiesto di spostarsi” per non ferire anche lei. Durante il primo interrogatorio subito dopo l’arresto, poi, il 23enne “si è scusato” e “ha chiesto come stava” Matteo Toia, la vittima. All’avvocata e agli inquirenti Fathe ha detto di aver agito sulla base di “voci” che sentiva nella testa e che “non era in sé” in quel momento, tanto da “non avere ricordi lucidi”. Ora il suo difensore valuterà se presentare una richiesta di perizia psichiatrica sull’assistito, per accertare se sia o meno in grado di intendere e di volere. “Vogliamo capire – spiega Patruno – se si sia trattato di un momento transitorio di confusione e poca lucidità, dettato anche dal fatto che fosse a digiuno da 5 giorni, oppure se c’è una incapacità”.
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